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Discorso in occasione della consegna del Dottorato honoris causa dell’Università per stranieri di Perugia, venerdì 21 luglio 2006
Sono molto commossa per l’onore che mi fate conferendomi questa laurea honoris causa, tanto più che così facendo mi date l’occasione di tornare indietro con la memoria e di riflettere con voi sulle ragioni che mi hanno portato a interessarmi alla lingua, alla letteratura e alla cultura italiana.
Il tempo ci fa vedere le cose in prospettiva e davanti a voi mi sento un po’ come il barone rampante di Calvino che contempla il mondo dall’alto di un albero.
Il tempo è questo albero sul quale salgo oggi per portare uno sguardo più vasto sulla mia storia.
Ho scoperto l’Italia durante uno di quei viaggi di gioventù che si intraprendono nel tempo, in qualche modo sospeso, tra gli studi liceali e l’università. Come tanti altri miei coetanei, con spirito d’avventura avevo deciso di andare per il mondo per allargare i miei orizzonti.
Ero assetata di scoperte, avevo un irrepressibile desiderio di conoscere altre realtà, di immergermi totalmente in quella che già mi piaceva chiamare la scuola della vita.
Chi ha mai detto che a diciassette anni non si è seria? Ebbene, questa ragazza di diciassette anni sognava « seriamente », senza sapere bene perché, di andare fino in Afghanistan, lontano da se stessa e dalla sua geografia personale.
È con questo spirito d’avventura che sono giunta in Italia la prima volta negli anni ’70, anni di grande effervescenza in cui, sulla scia del maggio 68, si reclamava a gran voce : l’immaginazione al potere!
Mi ricordo le strade animate dalle rivendicazioni degli operai, delle femministe e degli studenti che si davano alla pazza gioia per rovesciare certezze acquisite e inventare un nuovo patto sociale. La parola straripava ovunque e tutto veniva rimesso in discussione, a volte in modo virulento, in un molteplice appello alla libertà.
Ero stravolta sotto l’effetto dell’onda d’urto rappresentato da queste diverse identità, identità del nord e del sud, identità di queste regioni orgogliose della loro storia, identità di uomini e donne che osavano sognare a voce alta nuovi modi di vivere insieme e che sentivano l’urgenza di reinventare il mondo.
Qui in quella Italia è cominciato per me un nuovo viaggio, totalmente diverso da quello che avevo immaginato, un viaggio dal quale non dovevo più tornare e che mi avrebbe condotto su sentieri che non ho ancora finito di esplorare.
Per la fanciulla in fiore che ero allora, un tantino ribelle, che con i genitori era fuggita da un Paese tormentato e ridotto al silenzio dalla dittatura e dall’oppressione, per questa figlia dell’esilio che aveva trovato rifugio e sicurezza in Canada, un Paese dove invece tutto è possibile, l’esperienza italiana è stata un incontro con la potenza della parola.
Lontana da tutti i miei punti di riferimento, ma stranamente vicina all’esuberanza dei Caraibi, l’Italia mi ha dato il gusto di esprimermi e di esplorare a modo mio quello che più mi stava a cuore. È come se l’incontro con l’altro mi avesse permesso di capire meglio la mia identità. Dire che: L’Italia mi ha rivelato a me stessa.
Ho trovato in Italia un terreno fertile per approfondire la mia riflessione sul mondo. La cultura, che già tanto mi attirava, è diventata per me uno spazio d’interrogazione e di incontri. Sono felicissima di poterlo affermare oggi davanti a voi con le parole del grande Poeta : che l’Italia fu per me « vita nuova ».
Dopo quell’anno esaltante sono quindi tornata a Montreal decisa a prolungare questa esperienza. Mi ricordo che dissi a mia madre, appena tornata, che mi sarei iscritta all’Università per continuare ad approfondire la lingua e la cultura italiana. Al Dipartimento di Studi Italiani dell’Università di Montreal, mi sono messa a studiare con passione questa lingua e questo modo di esprimersi che m’incantava : lo spirito della lingua italiana mi invadeva ed in essa mi sentivo bene.
Ho scoperto la profonda meditazione di Dante, le immagini abbaglianti del Petrarca, l’audace vitalità del Boccaccio. Era l’inizio di un meraviglioso viaggio durante il quale ho fatto scalo in mondi di sensazioni e di sensibilità diverse, tappe che si chiamano Foscolo, Moravia, Levi, Sciascia, Morante, Pasolini, Gramsci, Pavese, Pirandello, Eco, Rosi, Visconti, Fellini, Taviani, Antonioni, Strehler, Cavani e... Totò. Un’avventura tanto più stimolante in quanto essa è incoraggiata ed accolta in questi alti luoghi del sapere che sono le Università.
Grazie alle borse di studio attribuite nel quadro dei rapporti bilaterali italo-canadesi, potevo proseguire la mia ricerca personale in università italiane.
Fu così che, un po’ più di vent’anni fa, varcavo col batticuore la porta San Pietro e entravo all’Università per stranieri di Perugia.
Approfittai dell’occasione per estendere il mio studio della lingua e della cultura italiana a delle nozioni di etruscologia, soggiogata dalla ricchezza della Storia che mi circondava. Qui a Perugia il passato si guarda, si tocca, si offre a tutti i nostri sensi. Ogni frammento restituisce il mormorio di una civiltà.
Per me, proveniente dal Nuovo Mondo che ha fatto tabula rasa della storia precedente la conquista europea delle Americhe, quest’avventura è stata cruciale.
lo sono, come tutti i Neri delle Americhe, il prodotto di una cancellazione della Storia, i miei avi erano, schiavi, erano stati privati di se stessi, privati della loro memoria, della loro lingua e perfino del loro nome.
Ecco dunque il mio immenso urgente bisogno di imparare ad interrogare le vestigia che la Storia ha lasciato dietro di sé per il nostro arricchimento collettivo, non solo per quello dell’Italia, ma di tutta l’umanità.
Ero alla ricerca di un tesoro, perché la cultura è un tesoro, un tesoro che attraversa i secoli e che non ha età.
La cultura è il divenire perpetuo del mondo. Allorquando la memoria si sbiadisce, ne rimangono gli indizi—segni, pietre, carte, testi—che a volte non comprendiamo pienamente. Ma, se sappiamo ascoltarla, la cultura ci parla di qui e di altrove, di vicinanze e di incontri.
Per noi che desideriamo indovinarne il principio e le finalità, comprenderne lo svolgimento per anticiparne il seguito, la Storia, in cui ogni cultura si incarna, è il respiro del tempo e la testimonianza più commovente del passaggio di uomini e donne sul suo territorio. Interrogare la Storia vuol dire riconoscere i momenti di rottura ribelle di fronte a delle continuità docili; vuol dire misurarne la portata e le devianze, a costo di scoprire l’America credendo di essere arrivati in India!
Ecco come mi sentivo arrivando a Perugia con tutto l’entusiasmo dei miei vent’anni. Qui avrei continuato ad imparare a riflettere, a evocare, a redigere, a gesticolare, a capire le sfumature, a scherzare, in una parola, a discorrere ... in italiano.
Questi sono stati per me anni preziosi e oggi, qui, davanti a voi, le porto tutti in me.
Oggi voglio esprimervi tutta la mia riconoscenza per avermi aperto gli occhi e il cuore ai numerosi contributi dell’Italia alla cultura universale e all’avventura umana.
Ecco quindi la mia risposta a quei professori che si dicevano meravigliati che una giovane canadese, di origine haitiana, s’interessasse con tanto fervore all’arte etrusca e alla letteratura italiana. Ma come mai?
Aggiungo che ho soprattutto imparato a conoscere le culture italiane, il plurale è intenzionale, le culture italiane dalla Sardegna al Friuli, e ho imparato che la storia è fatta di radici e di dialoghi, di viaggi e di esilio ed è per questo che non ha frontiere.
Arrischio, in tutta umiltà, un’immagine : ogni civiltà è una stella e costituisce, col passare del tempo, vaste costellazioni che ci guidano su questa terra.
Tale convinzione mi accompagna oggi che sono Governatrice Generale, capo di Stato, di un Paese che contiene il mondo e che mi ha concesso l’incredibile fortuna di vedere al di là delle divisioni e di fare miei i valori che ognuno di noi ha portato sulla nostra pianeta per il bene di tutti e di cui tutti oggi condividiamo. Non lo dimentico mai.
E non dimentico—se mi permettete una divagazione—che Garibaldi, questo genovese figlio di marinai, ha riconosciuto l’alleanza strategica e liberatrice esistente tra i soldati polacchi precettati da Napoleone e gli schiavi di Haiti. Ne risultò niente di meno che la proclamazione della prima repubblica nera al mondo e il primo gesto di affrancamento dalla schiavitù nelle Americhe. Garibaldi citò questo episodio della Storia come esempio di solidarietà e di rivendicazione dei diritti umani.
Vi lascio indovinare l’effetto che l’affermazione di Garibaldi ha avuto sull’immaginazione di una ragazza le cui radici con il proprio Paese erano state brutalmente recise dalla tirannia di una dittatura senza pietà.
Credo fermamente che la Storia sia una fonte inesauribile di rinnovamento. Voi lo sapete meglio di me, voi che me lo avete insegnato. La memoria storica è essenziale, direi quasi vitale, in quanto influenza il nostro modo di pensare, di creare, di sognare, di agire e di reinventare la vita.
Essa ci permette di guardare il mondo consapevoli di un’esperienza millenaria. Ed è proprio in istituzioni come la vostra che essa rimane viva e si propaga per diventare forza collettiva e bussola che ci orienta verso un futuro migliore.
Amo quest’università perché qui è ancora possibile questo lavoro del pensiero di fronte alla Storia e questo dialogo tra culture che l’apprendimento di una nuova lingua, di una nuova grammatica, aiuta e sostiene.
L’insegnamento che impartite prepara ad interrogare senza sosta ed in modo sempre diverso il mondo e la vita.
Io credo che in questa continua ricerca di senso si trova l’unica libertà che niente e nessuno ci potrà mai togliere, la libertà di capire, di delucidare, di creare e meravigliarsi, libertà di comunicare, una libertà che non dobbiamo mai considerare acquisita una volta per sempre.
In questi tempi difficili minacciati dalle barbarie, in cui la paura dell’altro a volte ci acceca, è importante non dimenticarlo.
La nostra libertà e la perpetuazione della nostra esistenza dipendono dalla nostra capacità di pensare. Una persona che non pensa più è una persona che si dimentica. Una persona che si dimentica è votata alla rovina. Una persona votata alla rovina si esclude dalla vita.
L’assenza di pensiero conduce alla noia, alla disperazione e, nei casi più gravi, alla violenza. Proprio perché luoghi di resistenza del pensiero, le istituzioni come la vostra devono essere protette e promosse per assicurarne l’influenza nel cuore della Città terrestre.
La Storia che si scrive sempre al presente esige che ridefiniamo insieme i legami che ci uniscono, quei legami oggi a rischio. Il solo « credo » della domanda e dell’offerta, cui troppo spesso viene ridotta la mondializzazione, non basterà mai a creare questi legami.
Piuttosto, e più profondamente, il nostro migliore, se non unico, tentativo di umanizzare l’umanità, sta nel singolare potere che abbiamo tutti di pensare il mondo, di addolcirne gli assalti, proteggerne le fragilità, interrogare le ragioni degli ostacoli incontrati, lenirne i dolori e moltiplicarne le gioie.
Osiamo immaginare un mondo in cui rifiuteremmo di erigere barriere tra noi, in cui scommetteremmo sui valori che ci uniscono in questo inizio del terzo millennio.
Quale sarebbe la sorte incontrata da un tale pensiero? Audace per gli uni, ingenuo per gli altri, un tale pensiero mi pare comunque essenziale per neutralizzare la stoltezza che si pasce d’ignoranza e che propone come unica possibilità la distruzione.
Ecco, oggi vorrei invitarvi a formulare questo pensiero. Ricca degli insegnamenti della Storia di cui sono stata, grazie a voi, la destinataria privilegiata, di questa lingua di cui mi avete trasmesso la passione, e di fronte a mia figlia che vedo crescere di giorno in giorno, io oso credere in questo pensiero. Adesso infatti è ancorata la mia speranza che si stabilisca tra le culture del mondo un patto di solidarietà e un sentimento di appartenenza comune a tutta l’umanità. È questo il mio più ardente desiderio.
E, come dice bene un proverbio italiano che ho sentito tempo fa e che da solo riassume il mio amore per questa Italia alla quale il destino mi ha unito per sempre : « Sole, fuoco e pensieri non hanno mai fine ».
Cari amici, I miei auguri di felicità vi accompagnano.
